La monumentale pala d'altare, pur mantenendo una costruzione compositiva saldamente ancorata alla tradizione classicista bolognese, testimonia un evidente recupero del linguaggio pittorico reniano. Tale ripresa si manifesta nell’uso di tonalità calde, nella compostezza delle gestualità e negli sguardi intensi e velati di malinconia delle sante che affiancano la Vergine, elementi che rivelano un sentito richiamo alla scuola felsinea.
Dal punto di vista culturale, l’opera può essere interpretata come un ritorno dell’artista alle sue origini formative, mentre, sul piano biografico, essa sembra riflettere l’epilogo di un’esistenza segnata da frequenti spostamenti e da un’inquietudine interiore che lo condusse, in una fase successiva, a brevi soggiorni a Venezia e infine a Vienna, dove si spense.
L’opera è databile tra il 1635 e il 1643, ovvero nel periodo del prolungato soggiorno romagnolo del maestro. Sotto il profilo stilistico, essa presenta significative affinità con altre composizioni realizzate in quegli anni, quali la Madonna dei Carmelitani e la pala con la Madonna con il Bambino, San Sebastiano, San Rocco e San Giacinto, conservata presso l’Oratorio di San Rocco a Montegridolfo (Forlì), con le quali condivide l’impostazione formale, la resa atmosferica e la spiritualità raccolta delle figure.
Bibliografia di riferimento :
Briganti, Giuliano, Pilo, Giuseppe Maria, e Romanelli, Girolamo (a cura di),
Cagnacci, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale – Rimini, Castel Sismondo), Milano, Electa, 1993, pp. 56–59 (n. 1); pp. 124–129 (n. 26); pp. 134–135 (n. 28); p. 134, fig. 45.